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Quo vadis? Quo vadis.

„Per i suoi notevoli meriti come scrittore epico e per il raro genio che ha saputo incarnare lo spirito della nazione” – questa fu la motivazione del verdetto data dalla giuria dell’Accademia Svedese di Stoccolma, con il quale assegnò il premio Nobel per la letteratura del 1905. La scelta di Henryk Sienkiewicz fu dettata dalla valutazione dell’intera produzione letteraria, ma fu il romanzo Quo vadis? (pubblicato a episodi negli anni 1895-1896 in un quotidiano di Varsavia) a prevalere sulla decisione. L’ultimo del ciclo denominato „la trilogia romana” (i precedenti sono : Bez dogmatu [Senza dogma] e Rodzina Połanieckich [La famiglia Połaniecki]), il romanzo definiva al meglio lo „spirito occidentale”, come „allevato nella cultura latina”. L’universalismo di Quo vadis? scaturì dall’esperienza personale di alcuni viaggi che lo scrittore fece nella Nuova Troia dei discendenti di Enea, la seconda Gerusalemme; ma anche dalla lettura di Cornelio Publio Tacito, molto amato da Sienkiewicz, che ispirò lo scrittore a “contrapporre nel suo lavoro artistico i due mondi, di cui uno rappresentava l’autorità regnante e onnipotente della macchina amministrativa, l’altro invece incarnava esclusivamente la forza spirituale”[1]. Il concetto della bipolarità del mondo della politica e dello spirito viene rafforzato da Feliks Nowowiejski (1877-1946) nell’oratorio Quo vadis. Esso è particolarmente evidente nella orchestrale Marcia dei pretoriani (inizio della II Scena). Il compositore rende questa marcia totale, senza concedere la tregua che tradizionalmente viene data grazie all’inserimento nelle marcie di una parte centrale più lieve. In tal modo il compositore raffigura l’ambiente dell’imperatore Nerone come superficiale, vacuo e petulante, come osservò la stampa olandese dopo la memorabile prima ad Amsterdam: „[Nowowiejski] sa come passare da un effetto – selvagge orge sonore – ad un altro”. Le descrizioni dei banchetti e i dialoghi d’amore di Sienkiewicz, assenti nell’oratorio, rivelano l’influenza di Catullo e Ovidio e quella dei foricoenia latini scritti da Jan Kochanowski durante gli studi a Padova. Sulla poesia antica della Grecia e della Roma si era basata invece la scrittrice Antonia Jüngst, che preparò il libretto in lingua tedesca per l’oratorio di Nowowiejski.

Nobel musicale per „Felice Nowo”

Un premio paragonabile al Nobel per la letteratura nell’àmbito della musica classica è l’International Classical Music Award, assegnato nel 2018 all’album Quo vadis di Feliks Nowowiejski con la partecipazione del primo complesso corale polacco, quello dell’Orchestra dell’Opera e Filarmonica di Podlasie preparato da Violetta Bielecka (con l’accompagnamento dell’Orchestra della Filarmonica di Poznań diretta da Łukasz Borowicz)[2]. Nowowiejski, prima di presentare al mondo l’oratorio Quo vadis, era già conosciuto come vincitore di premi d’importanza internazionale (due volte il premio berlinese di Giacomo Meyerbeer per l’oratorio Powrót syna marnotrawnego (Il ritorno del Figlio Prodigo) e per l’ouverture Swaty polskie (il Corteggiamento polacco)). La carriera della seconda e ultima versione dell’oratorio Quo vadis può essere considerata un „arci-Nobel” e iniziò con la prima rappresentazione dell’opera ad Amsterdam (1909). Da allora per ben due decenni fu eseguita in ben duecento città dell’Europa occidentale (soprattutto in Germania) e delle due Americhe, in prestigiose sale da concerto, fra le quali quella di Carnegie Hall di New York. Successi su scala simile raggiungeva già da qualche tempo il „re del pianoforte”, Ignacy Jan Paderewski. Un anno dopo la prima rappresentazione, il 15 luglio 1910, i due compositori si incontrarono in piazza Jan Matejko a Cracovia durante la cerimonia d’inaugurazione del Monumento di Grunwald fondato da Paderewski. In quell’occasione fu eseguita la Rota, composta da Nowowiejski, cantata da qualche centinaio di coristi provenienti dai territori delle tre spartizioni, diretti dallo stesso artista. La sublime atmosfera di quel momento può essere paragonata al patos delle partii corali dell’epopea musicale Quo vadis.

Apocalisse.

L’Oratorio Quo vadis, diviso in scene, sembra un opera lirica, e di fatto lo è, meritando una messa in scena. Il già citato direttore d’orchestra Piotr Sułkowski invitava al suo ascolto: „Quando chiudi gli occhi, vedi migliaia di soldati che marciano verso Roma”. Vi è possibile scorgere anche un’immagine dell’apocalisse – il grande incendio di Roma. L’opera inizia con unIntroduzione di grande impatto – il Maestoso drammatico. Le prime battute del preludio sembrano già un motto che risuona con il „tutti” dell’orchestra e con il timbro pieno dell’organo che da quel momento tornerà in momenti salienti dell’azione, soprattutto, in modo più incisivo, nella scena dell’uffizio nelle catacombe. Quel breve motivo orchestrale (uno dei temi ricorrenti dell’opera) diventa il simbolo della cristianità, della Chiesa in formazione. Il motivo strumentale successivo che richiama il poema sinfonico di Mieczysław Karłowicz Pieśń o wszechbycie [Il canto di onnipresenza]), svolge la funzione di sottofondo per le incursioni delle fanfare e le fulminee tempeste sonore. In quello spazio multidimensionale risuona il drammatico richiamo degli abitanti di Roma, con l’espressivo canto del coro misto e poi con l’alternanza delle voci femminili e maschili, su modello di Joseph Haydn che raffigurava la tempesta nell’oratorio Le stagioni o di Giuseppe Verdi, che esprimeva l’orrore del Giudizio Universale nel suo Requiem. L’atmosfera apocalittica si intensifica con successive scene corali. Una di queste, Już sześć dni nie ma jutrzenki [Sono sei giorni che manca l’aurora] , illustra le tenebre sulla Roma in fiamme e sembra che Nowowiejski vi compatisca gli sciagurati sudditi di Nerone. Dopo la prima, la stampa di Amsterdam scrisse: „l’intera introduzione può essere definita geniale”. Sono brillanti le fughe multitematiche: il grido della folla Christianos ad leones restituisce il terrore di alcuni e la crudeltà di altri. Le magistrali fughe riassumono l’opera nell’ultima, dossologica scena.

Nei Cieli.

La suddetta motivazione del Premio Nobel può essere riferita anche a Feliks Nowowiejski. L’importanza di Sienkiewicz nel campo dell’epica crebbe grazie all’assorbimento e alla trasformazione di una ricca tradizione letteraria e alla riflessione sui dipinti Il banchetto di Nerone e Le torce di Nerone di Henryk Siemieradzki, celebre pittore polacco con cui Sienkiewicz visitò Roma; all’immediatezza dell’immagine dell’incendio della Città Eterna deve aver contribuito l’episodio dell’incendio di Puławy (1885) visto dallo scrittore quale  giornalista di un quotidiano di Varsavia. Nowowiejski attinse all’altrettanto ricca tradizione musicale, facendo spesso riferimento al corso di musica sacra frequentato a Ratisbona,  dove si attuavano idee del suo rinnovamento legate al Movimento Ceciliano. Queste idee trovarono espressione nelle opere corali, stilizzate a canti gregoriani, attraverso la polifonia rinascimentale a cappella. In Quo vadis ritroviamo tutti e due gli elementi, sia il canto corale che l’arcaizzante motetto. Gli studi a Berlino da Max Bruch, compositore e maestro piuttosto conservatore, rafforzarono il bisogno dell’artista di dare continuità allo stile romantico, conferendogli caratteristiche arcaiche. Non significa che egli fosse indifferente alla rivoluzione che si stava attuando a quel tempo grazie a Debussy, Strawiński e Schönberg (in Polonia grazie ai compositori di Młoda Polska [Giovane Polonia] con Szymanowski a capo). Felice Nowo (come Bruch era solito chiamare il suo pupillo) attinse anche alle ultime conquiste dei neoromantici – la struttura orchestrale in Quo vadis assomiglia alla Dante-Symphonie di Franz Liszt e alla Sinfonia n.2 Resurrezione di Gustav Mahler, mentre la scena nelle catacombe richiama l’Intermezzo della Cavalleria rusticana di Mascagni. Analogamente a questi compositori, Nowowiejski rafforzò la sezione dei fiati (alludendo agli antichi strumenti romani – buccine, tube), introducendo nella partitura i Glockenspiel (campanelli), campane, arpe, organi e armonium. In Quo vadis Domine, nella scena cruciale della visitazione di San Pietro (baritono) da parte di Gesù (basso), si può sentire l’influenza del finale di Parsifal, il mistero di Richard Wagner (ispirato dal Magnificat della Dante-Symphonie di Liszt). In questa scena sopra il santo Graal si libra una colomba, simbolo della tanto attesa benedizione per i Cavalieri di Monsalvat. Nowowiejski nutriva sentimenti ambivalenti nei confronti dell’opera e della persona di Wagner, ma furono proprio i frammenti del suo Parsifal che egli suonò all’organo nel tempio di Gerusalemme alla presenza del patriarca (Nowowiejski era famoso per le sue magistrali improvvisazioni, le sue Sinfonie per organo assolo avevano uno slancio orchestrale). Sienkiewicz, scrivendo le parole chiave del romanzo: „Poiché tu abbandoni il mio popolo, vado a Roma per essere crocefisso per la seconda volta”, definì la voce di Cristo „triste e dolce”. Nowowiejski rafforza quella dolcezza attraverso un soave recitativo liturgico, i gentili accordi dei legni e gli ampi passaggi delle arpe che rievocano l’arcobaleno, il mondo dei Cieli. Nowowiejski aprì il cielo ai protagonisti di Quo vadis nella scena delle catacombe dando voce a Ligia – la complessa aria del soprano accompagnato dal coro ha la stessa forza espressiva della scena con gli Angeli che annunciano la salvezza di Margherita nell’opera Faust di Charles Gounod.

Epilogo? Prologo.

La serie di successi di Quo vadis fu interrotta dallo stesso Feliks Nowowiejski, quando, dopo la riconquista dell’indipendenza da parte della Polonia, impegnato nella campagna plebiscitaria degli abitanti di Warmia che cercavano di lasciare le terre prussiane in seguito alla restituzione alla Polonia dell’accesso al mare, scrisse Legenda Bałtyku [La leggenda del Mare Baltico]. Da quel momento le opere di Nowowiejski non furono più messe in scena in Germania. La Seconda Guerra Mondiale segnò la caduta di Quo vadis nell’oblio. Le celebrazioni del Doppio Anno di Feliks Nowowiejski (2017-2018), si traducono in prime mondiali, registrazioni, edizioni degli spartiti, che speriamo diventino, insieme a questo concerto romano, un prologo per una nuova era, dove l’eredità di Nowowiejski, paragonabile per la sua ricchezza di generi con la produzione di Krzysztof Penderecki, possa essere conosciuta universalmente.

Magdalena Gajl


[1] H. Sienkiewicz, Opere, t. XL, Varsavia 1951, pp. 141-142
[2] Questo album contiene la seconda registrazione dell’oratorio „Quo vadis”. Il precedente, nella versione originale tedesca, è stato realizzato da Piotr Sułkowski, , con il Coro da Camera ”Henryk M. Górecki” di Cracovia, l’Orchestra Filarmonica di Varmia e Masuria „F. Nowowiejski” Olsztyn e con la partecipazione della star internazionale Aleksandra Kurzak.